“L’arma di difesa che oggi i genitori devono dare ai propri figli è quella di saper scindere tra i due mondi; il reale e il virtuale. L’unica protezione dal pericolo del cyberbullismo è, dunque, far capire ai ragazzi che esiste un mondo vero e uno inventato”.
A parlare è Talita Paula Leite (nella foto), la sorella di Carolina Picchio, una ragazza di 14 anni, un’adolescente come tante, figlia di una famiglia allargata, con i genitori rimasti in ottimi rapporti, senza traumi per la separazione e forse un po’ viziata, perchè la piccola di casa. Questa è la storia di Carolina che ha deciso di uccidersi per mettere fine ad un dramma: il cyberbullismo. Il racconto della sorella non vuole essere solo la ricostruzione dei fatti ma un viaggio interiore, nell’anima di una famiglia e di una ragazza.
Esiste un segnale che può far riconoscere il malessere da cyberbullismo?
“Noi familiari- racconta Talita- non sapevano niente. Carolina si è chiusa nel suo mondo e non ha mai parlato con nessuno del problema. Nemmeno gli amici sapevano. Mai un segnale di depressione o tristezza, mai un malessere fisico, mai niente che potesse far dedurre la voragine che cresceva in lei. Mia sorella ha nascosto tutto, non per la paura delle reazioni dei familiari, ma per vergogna”.
La voce di Talita tradisce a tratti ogni sicurezza: “Tutto cambia e degenera quando avviene il passaggio dall’infanzia all’adolescenza”. “Carolina- spiega la ragazza- incontra il primo amore, poi finisce e da lì cominciano gli insulti e le parolacce da parte di lui, la gelosia si trasforma in bullismo, prima circoscritto al gruppo degli amici poi si allarga, fino al web, e diventa cyberbullismo e ad arriva chissà dove”.
Questo è l’inizio della tragedica storia.
“La comitiva organizza una pizziata in casa di amici – racconta Talita- Carolina si lascia accompagnare dal padre -come fa ogni adolescente- e forse beve troppo, lei non era abituata a reggere l’alcol. Improvvisamente si sente male, va in bagno, barcolla, un’amica l’accompagna e lì comincia l’incubo. In bagno entrano dei ragazzi, cercano di violentarla, prendono i telefonini e girano un video”.
Ed è a questo che punto l’incubo si trasforma in un male sordo, che cresce in Carolina, che non trapela mai e che si nasconde dietro il sorriso apparente di una normale felicità. “Il video, attraverso whatsapp, passa da telefono in telefono e in poco tempo Carolina viene presa in giro anche a scuola, tanto che lei stessa decide di cambiare istituto”.
Ma qui sta proprio “la trappola del cyberbullismo”; non avere un raggio d’azione fisico circoscritto, perché il tam tam dei video e dei messaggi diventa talmente vasto che non è possibile tracciarne la diffusione in senso territoriale, anagrafico o culturale.
“Ovviamente- spiega Talita- la famiglia accetta la richiesta di Carolina di cambiare scuola, perchè pensava che non si trovasse bene in quel liceo, a tre mesi dall’inizio della scuola e con il passaggio dalle medie all’istituto superiore”.
Ma cambiare posto non assicura l’immunità dalla derisione. “Carolina intanto non fa trapelare niente, neanche un segno di sconforto”. “Un giorno- continua Talita- per caso su Facebook, mi capita di vedere sulla bacheca un post offensivo rivolto a Carolina, dove un amico chiedeva a mia sorella se avesse contratto la mononucleosi”. “La prima cosa che ho fatto è stata quella di scrivere in privato al ragazzo e dopo ho parlato con Carolina. Ma lei mi ha rassicurata dicendo che era uno scherzo, un gioco di gelosie, di quelli che succedono tra coetanei”. “Nei giorni successivi – aggiunge- abbiamo spronato Carolina a parlare intuendo che potesse esserci qualcosa sotto, ma la storia finisce qui, con mia sorella che mi tranquillizza”.
“Intanto arriva il Natale, Carolina parte con un’amica di famiglia, una psicologa infantile, torna il 2 gennaio e il 4, dopo aver fatto i compiti decide di andare a trovare gli amici. Si fa accompagnare dal padre e prima dell’orario di rientro lo chiama per farsi venire a prendere, perché stanca”. Quella è la sera in cui Carolina ha deciso di uccidersi. E il come e il dove non sono importanti, sono forse dettagli davanti ad un fiume di emozioni, di parole e pensieri. Adesso per i 6 ragazzi coinvolti nella vicenda c’è il processo in corso.
“Abbiamo scoperto tutto questo solo perché Carolina ha lasciato 3 lettere dove ha scritto che non ce la faceva più; dove si scusa per non essere stata forte. Carolina era mortificata e lesa ma la vergogna più che la paura l’ha spinta a non parlare con nessuno del problema. Carolina è entrata in un vicolo cieco e non è riuscita a venirne fuori”.
Il confine tra il mondo reale e quello virtuale è molto sottile specie nell’adolescenza. “Questa generazione è “figlia d’internet” e bisogna dargli le basi per saper valutare i due spazi. Con moderazione bisogna spingere i propri figli ad andare al bar piuttosto che chattare, bisogna dargli gli strumenti per valutare il bene e il male, ma senza mai vietare completamente l’uso dei social network, piuttosto- conclude la sorella di Carolina- bisogna invogliare i figli a farne un uso parsimonioso”.
La proposta di Talita è quella di usare il codice fiscale per iscriversi ai social network, come deterrente per i minori.