Breve o lunga: la memoria ai tempi di Internet, esiste ancora?

memoria

Giriamo lo sguardo a caso. A destra, a sinistra. Ovunque, adolescenti sempre più connessi. Un dato di fatto che ancora stupisce. Ma una domanda mi sorge spontanea. Che fine ha fatto la memoria, breve o lunga che sia? Gli adolescenti, abituati a risolvere i dubbi con un click, utilizzano ancora la memoria?

A rispondere e riflettere sulle conseguenze che i new media potranno avere sulla Generazione Z, e non solo, è Duccio Canestrini (nella foto) antropologo.
duccio canestrini
Visto il costante utilizzo di Internet, soprattutto da parte dei più giovani, non stiamo andando incontro ad una perdita della memoria?
Più che di memoria il problema a mio modo di vedere è quello della attenzione: i giovani faticano moltissimo (di fatto non riescono) a prestare attenzione a lungo a qualcosa che viene detto anziché a immagini o comunque veicolato da supporti multimediali. Questo perché Internet abitua a stimoli visuali veloci e mutevoli. Un secondo problema importante è quello della sintesi. I giovani ascoltano ma poi faticano a riassumere i contenuti.

Non pensa che ad essere intaccata sia anche la memoria a breve termine?                E la memoria a lungo termine è stata già persa?

Sulla memoria non sarei tanto pessimista, è vero, i ragazzini non sono più allenati a imparare le poesie di Giovanni Pascoli. Ma altre cose le ricordano benissimo. Una volta c’erano le enciclopedie, ora c’è Google (e ne sono ben contento). Alla fine è un problema di archivi diversi, non di memoria, credo.

Quale rischio corriamo?

I giovani, per via della recessione ormai cronica, li vedo pronti a (fare) tutto. Nel senso che soltanto una parte della gioventù ha, come si diceva un tempo, “saldi principi“. Valori, saper rinunciare, fare obiezione, battersi per i deboli, per la giustizia, rimettendoci personalmente. Ecco, il rischio è forse quello di perdere sul piano dell’etica. Perdere l’etica.

Cosa fare, per evitare che succeda?

Direi offrire stimoli congrui, provocatori, anche trasgressivi, in ogni caso assimilabili. Lavorare per l’elasticità mentale, contro regionalismi, nazionalismi, sessimi, razzismi, ecc. Ma farlo, va da sé, in maniera “pop”!

Secondo lei che tipo di società saremo tra qualche anno?

Qui salta fuori il gramsciano pessimismo della ragione accompagnato all’ottimismo della volontà. Quasi tutta la fantascienza preconizza società distopiche, rette da oligarchie tecno-militari. Dove la maggior parte della gente è oppressa. Oggi è chiaro che la tecnologia ha crescente importanza per l’economia (basti pensare al boom di prodotti per la videosorveglianza). E i politici sono burattini nelle mani del capitalismo finanziario. Poi si levano voci, come quelle dell’economista americano Jeremy Rifkin, autore di una Civiltà dell’empatia, che tracciano scenari diversi, solidali, progressisti. Non ci resta che scegliere uno scenario, una visione.

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Antropop La tribù globale – di Duccio Canestrini

Se si pensa all’antropologia come a una scienza lontana da noi, riservata a dotti studiosi o a intrepidi viaggiatori alla ricerca di culture dimenticate nelle isole del Pacifico ci si sbaglia di grosso. L’antropologia riguarda tutti noi e ce lo dimostra Duccio Canestrini, antropologo, conferenziere, ma soprattutto libero pensatore. Un uomo che le isole sperdute le ha effettivamente visitate, ma che nel suo libro intitolato Antropop. La tribù globale (Bollati Boringhieri, 2014) propone un’antropologia popolare, che entra nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana. Sorridendo di questioni molto serie e prendendo sul serio frivolezze. Ecco allora la selfiemania nella società globalizzata, la moda di portare i pantaloni con il cavallo basso e altri comportamenti bizzarri e interessanti. L’incipit è clamoroso: udite udite Ken, in versione ecologista, molla Barbie perché non le importa un fico della deforestazione in Borneo.

Elia Giovanaz

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